Distribuzione online e accordi verticali
A giugno scade il regolamento europeo sugli accordi verticali e ci sono idee diverse sulle modifiche da attuare. È importante seguire il dibattito in corso
L’organizzazione della distribuzione commerciale è sempre stata un punto di conflitto nei rapporti tra i molti attori della distribuzione, ben prima dello sviluppo delle vendite online. È un tema che interessa i produttori, i rivenditori ed inevitabilmente coinvolge i consumatori.
Punti fermi importanti
In Europa, ma anche negli Stati Uniti, sono vietate le clausole anticompetitive che limitano l’esercizio della concorrenza.
Il principio di esaurimento, o first sale, prevede che una volta che un prodotto viene immesso in un mercato, può essere comprato e rivenduto da chiunque.
Le conseguenze della prima indicazione
Negli Stati Uniti con la sentenza della Corte Suprema del 28 giugno 2007 è stata interrotta la tradizione che esisteva dal 1911 e che considerava le forme di imposizione del prezzo minimo di vendita al dettaglio fatta dal produttore al distributore vietate di per se. Dal 1911 al 2007 si è ritenuto che queste restrizioni non avessero effetti anticoncorrenziali. Dal 2007 la regola viene abbandonata e l’Autorità Antitrust procede caso per caso.1
In Europa il produttore non può applicare un prezzo minimo di vendita, può consigliare un prezzo di listino da applicare.
Le conseguenze del principio di esaurimento
Il principio di esaurimento apre tutto il grande tema del secondo mercato.
Il secondo mercato è composto da:
Prodotti di stock comprati e rivenduti
Prodotti che entrano nel mercato da importazione parallela
Prodotti che arrivano da close out, fine serie, prodotti con difetti che non pregiudichino la garanzia di conformità che ogni prodotto deve avere.
La distribuzione commerciale non è mai lineare, ma procede per fiumi, torrenti, ruscelli, rivoli.
I produttori possono avere eccedenze di produzione, prodotti di buona fattura, ma che vari motivi non rispettano lo standard previsto, fine serie, serie disassortite.
Tutti questi prodotti trovano altri canali distributivi:
Outlet diretti dei produttori
Outlet gestiti da terzi
Stockisti di varia dimensione e capacità
Anche i retailer, i grossisti e i negozianti, si trovano nella stessa condizione e rivendono i loro prodotti fuori serie, fine stagione, i prodotti che hanno superato tutti i saldi in canali diversi di secondo mercato.
Importazione parallela
Per prodotti già immessi in un mercato, esiste la possibilità che venditori facciano provvista di articoli in mercati nazionali diversi e li rivendano autonomamente, senza passare dalla filiale locale o dalla rete di distributori autorizzati dall’azienda principale. È però fondamentale che i prodotti di importazione parallela siano conformi alle diverse legislazioni nazionali per composizioni ammesse e schede tecniche necessarie: si possano quindi immettere sul mercato senza problemi, garantendo sempre il diritto di recesso e la garanzia di conformità che vale due anni.
Distribuzione ordinaria
La distribuzione ordinaria ha lo schema che vedete qui sotto.
È lo schema della distribuzione come la conosciamo meglio, con tutti gli attori che vendono e rivendono, cercando di arrivare al mercato dei clienti.
Distribuzione selettiva
La distribuzione selettiva ha questo schema
Questo è lo schema di distribuzione per categoria verticale (VBER), che disciplina gli accordi verticali relativi alla fornitura e distribuzione di beni e servizi.
Non è per nulla facile dimostrare e far accettare questo schema selettivo.
Può essere attivato dalle poche aziende che rispettano i canoni previsti dal Regolamento UE 330. Vi accedono solo determinati marchi, chiaramente individuati per criteri di selettività del prodotto, ma anche per criteri di selettività dei punti vendita e i criteri di scelta sono molto ben definiti dal produttore.
Scordate, quindi, che chiunque possa riuscire a farsi eleggere per gestire una distribuzione selettiva.
Quali sono le proposte sul tavolo della Commissione Europea
Il contesto in cui si discute oggi è fortemente influenzato dalla crescita delle vendite online e dalle profonde trasformazioni che stanno avvenendo nel commercio.
L’intenzione della Commissione è di permettere ai fornitori di vendere i loro prodotti con prezzi all’ingrosso diversi a seconda del canale di distribuzione: il cosiddetto dual pricing.2
Questa decisione, se così fosse attuata, non aiuta i negozi fisici a competere
Apparentemente serve a tutelare i negozi fisici, ma, nei fatti si ritorce contro i consumatori europei e danneggia le vendite al dettaglio.
Mi sembra ovvio che diversi prezzi all’ingrosso, per vendite online e offline, influenzeranno non solo i margini delle vendite online, ma anche i controlli dell’inventario, il monitoraggio delle vendite e la gestione delle scorte.
Il tema del dual pricing è un tema complesso che si presta a molte interpretazioni.
È ovvio che i clienti non sono tutti uguali e che qualunque produttore adotta già adesso prezzi diversi per clienti diversi.
Le motivazioni sono molte e tra queste:
quota di mercato del cliente,
solvibilità del cliente,
affidamento del cliente intesa come capacità di essere debitore nei confronti del venditore,
sistema di pagamento e sconti premio in funzioni di pagamenti e quote di acquisto
Ma a me sembra evidente che, in una condizione in cui non sono possibili blocchi geografici in Europa3, l’introduzione del dual pricing abbia più indicazioni contrarie che positive.4
Il commercio non sta morendo, si sta evolvendo
Per essere molto chiari, a costo di essere brutali, il commercio tradizionale non sta morendo, non verrà sostituito dal commercio online.
La crescita eccezionale delle vendite online nel 2020, è diminuita nel 2021.
L’ecommerce continua a crescere, ma non arriverà al 30% delle vendite totali retail prima del 2030.
Non serve avere una sfera di cristallo, è sufficiente guardare i dati e le tendenze con disincanto. Le previsioni sono fatte per essere smentite, ma su questa sono abbastanza confidente.
Nemmeno l’omnicanalità è la soluzione per tutti i tipi di commercio e per ogni dettagliante.
Così come ci sono negozi fisici che chiudono, ci sono vetrine online che spariscono senza compiere uno o due compleanni. E come ci sono insegne prestigiose sulla strada che chiudono, altrettanto succede a ecommerce conclamati che bruciano risorse enormi, senza mai arrivare al pareggio. Non fermatevi a leggere i comunicati stampa.
Non è questo il post per analizzare lo sviluppo del commercio nei prossimi 5 anni.
Lo scopo è dare un quadro di uno svolgimento e dei prossimi provvedimenti allo studio in Europa, che interessano tutti i brand e tutti i rivenditori, qualunque sia la loro posizione nel mercato.
Cosa dovrebbe fare un brand presente online e offline
Esclusi i pochi casi che usufruiscono legittimamente delle condizioni di applicabilità della distribuzione selettiva, tutti gli altri brand dovrebbero intraprendere una strada di collaborazione con il retail.
Gestire la propria presenza online in forma collaborativa. Il brand non venderà mai tanto quanto la somma dei suoi rivenditori, ma ha il dovere di dare la migliore immagine di se.
Rivendicare il brand sui marketplace e collaborare con i rivenditori. I marketplace sono una realtà in espansione e crescono più velocemente degli ecommerce.
Impostare condizioni di vendita e proposte di acquisto sulla protezione dei segni distintivi. Vuol dire definire le condizioni di utilizzo dei marchi, loghi, immagini e testi, con specifici contratti di comodato d’uso.
Collaborare nella lotta alla contraffazione - questo si un grande problema.
Lasciare esprimere la concorrenza che, in queste situazioni, tenderà a livellarsi verso l’alto: nessuno lavora a lungo per perdere.
Consigli per i retailer
1 - I retailer sono liberi di comprare la merce per rivendere ovunque.
Devono però sapere che sono responsabili delle loro scelte. Devono quindi sincerarsi che la provenienza della merce che acquistano da uno stockista o da mercato parallelo sia legittima, che sia possibile ricostruire la catena della distribuzione fino ad arrivare al produttore.
2 - I retailer devono essere autorizzati ad usare immagini coperte da copyright
Il fatto che le immagini siano di pubblico dominio, perché si trovano sui cataloghi e su repository di immagini, oppure sono usate da altri, non libera dalla necessità di avere una autorizzazione specifica che può rilasciare solo chi detiene i diritti.
Se vale per le immagini, a maggior ragione vale per la riproduzione del brand.
3 - I retailer devono controllare le condizioni stabilite nelle proposte di acquisto che firmano.
Le vendite sono sempre contratti e per acquistare la merce da rivendere si firma un contratto. Il contratto prevede clausole ordinarie e clausole vessatorie, da firmare due volte, che è bene leggere e conoscere.
4 - I retailer che vendono prodotti oggetto di distribuzione selettiva, senza appartenere alla distribuzione, rischiano di essere sanzionati.
I brand che godono della distribuzione selettiva hanno forti strumenti di controllo sulla loro distribuzione per garantire identità al brand, esclusività del prodotto, scelta diretta del rivenditore. Comprare prodotti oggetto di distribuzione selettiva da un rivenditore inserito nella catena per venderli al di fuori, non è una mossa intelligente per entrambi i protagonisti. Per poche vendite in più il rischio che si corre non vale la pena.
5 - Attenzione ai prodotti che imitano altri prodotti e che possono essere in violazione di copyright o di infringement di brevetti.
Si chiama copycat, è più diffuso di quanto si immagini e riguarda prodotti che imitano, mimano, prodotti coperti da copyright. Se vendete su Amazon e vi arriva una segnalazione di questo tipo, il consiglio è di desistere immediatamente. Giustificare o resistere serve solo a far sospendere i privilegi di vendita sulla piattaforma che è l’ultima cosa che un venditore vorrebbe raggiungere.
Questo il quadro in cui si muove oggi il commercio
Ed in questo contesto, la proposta del dual pricing non introduce elementi di salvaguardia del commercio fisico, ma crea solo confusione per i consumatori e rischia comunque di penalizzare le piccole e medie realtà commerciali.
(mia opinione)